domenica 23 ottobre 2016

P come Paura

Dal dizionario etimologico
PAURA: dal latino pavorem, da paveo: "io temo" e "sono percosso, abbattuto"


«La paura di fatto è una richiesta d'aiuto e quindi una richiesta d'Amore» scrive G. Jampolsky nel suo Amare è lasciare andare la paura.
E', infatti, proprio quando siamo "percossi, abbattuti", funestati dai colpi della vita, che - più che in ogni altro momento - abbiamo bisogno di ricevere atti d'amore.
E, se l'amore è scambio reciproco (attenzione, ho scritto "scambio": non un becero accaparrarsi della tenerezza altrui, senza mai dare nulla in cambio), ecco che allora esternare la propria paura diventa importante e fondamentale proprio nella costruzione dell'Amore stesso.
Purtroppo, viviamo in una società che ci insegna ad essere (o, meglio, ad apparire) invicibili. Mass media, modelli genitoriali deleteri, pseudo-amici, ambienti lavorativi estremamente competitivi ci educano a non mostrare mai le nostre debolezze, ad alimentare la rabbia a scapito del perdono, la rivalsa sugli altri a dispetto dell'amore verso di sé.
Al contrario, imparare a raccontare e a vivere le nostre paure è un atto d'amore primigenio, di onestà intellettuale assoluta, sia nei confronti degli altri sia nei confronti di noi stessi.

Foto di © Michael Rougier
Ammettiamo di nutrire timori, irrisolti, di vedere fantasmi del passato albergare verso di noi. Comunichiamolo a chi ci sta intorno, invece di indossare scomode e soffocanti armature, per apparire quegli eroi invincibili che in verità non siamo.
Venire a patti con la paura è un atto d'amore in primis verso noi stessi e (non poi così secondariamente) verso chi ci circonda.
Quante volte, durante una lite o uno scontro con una persona - anche amata - abbiamo preferito trincerarci dietro battute pungenti o crudeli, dietro a ostentazioni di sicurezza ("Non mi mancherai affatto", "Te la farò pagare", "Non ti perdonerò mai") quando, nel nostro intimo, eravamo semplicemente terrorizzati? Perché schiaffeggiare qualcuno con parole come: "Non ho alcun bisogno di te?" quando, a volte, ciò che più ci paralizza è la mancanza dell'altro?
E' proprio questa la folgorazione di oggi: negare le proprie paure è stupido. Controproducente. Un suicidio emotivo.
Per quello che mi riguarda, voglio imparare non solo a conviverci, ma renderle punti di forza. Impastandole come se fossero creta, giorno dopo giorno, trasformarle in quei "mattoni gialli" che mi porteranno sempre più vicina a coloro che amo.

"Amami, non vedi che ho paura?"

Nessun commento:

Posta un commento

Weyward

Tre generazioni di donne, le Weyward, che, dal XVII secolo ad oggi, sono unite da un unico misterioso destino. Il romanzo d'esordio dell...